... e senza motivo!



venerdì 30 settembre 2011

LA "NUOVA" SEDE DI CRAZY PRESS





Quando Marjorie mi chiamò per mostrarmi la nuova sede di Crazy Press, ero curioso di verificare fino a che punto il suo amore per il lusso e l'eleganza potesse arrivare. Ancora erano impresse nella mia mente le riunioni del gruppo sulla spiaggia tropicale che prima ci ospitava, e le chiacchierate all'ombra delle palme o nella frescura dei confortevoli bungalows vicino al mare.
Il teleport, tuttavia, sembrò ignorare le mie attese. Mi trovai, infatti, davanti ad una costruzione fatiscente e semidiroccata, con una sgangherata insegna che faceva pensare ad un hotel, in un desolato ambiente a metà strada tra archeologia industriale e noir post-apocalittico. Subito pensai ad un errore del viewer, ma subito una voce nota, proveniente dall'interno, mi richiamò alla dura realtà:
- Entra, Pinovit ! -
Fu allora che notai la targa dell'agenzia sulla porta dell'edificio.
Diedi uno sguardo sconsolato al sinistro scenario che mi circondava, fatto di muri scrostati, hangar abbandonati, rifiuti, relitti e residuati di attività ormai morte, ed entrai.




Quella che un tempo doveva essere la hall di un motel era accogliente come una galera ottomana riservata agli infedeli: divani sfondati di cui si contavano le molle arrugginite, tappeti consunti e polverosi, tendaggi ammuffiti, quadri rotti e cartacce dappertutto. Il tutto illuminato – si fa per dire – da fioche lampadine appese ad improbabili fili elettrici di edisoniana memoria.
Mi guardai intorno cercando l'autrice del richiamo di cui sopra, ma vedevo solo squallore e decadenza; stavo per uscire per sfuggire al tanfo di stantìo e di umidità che permeava il locale quando notai due scarpe da donna su una traballante scrivania in un angolo della sala.
Aguzzando lo sguardo, mi resi conto che collegate alle scarpe c'erano due gambe, e collegata alle gambe c'era Marjorie Fargis, mollemente adagiata sulla sua sedia direttiva, nella stessa posa – e con lo stesso sguardo nel contempo beato ed assorto - che assumeva sdraiandosi sull'amaca della meravigliosa spiaggia polinesiana.








- Marjorie ma sei impazzita? - l'apostrofai.
- E perché mai? - chiese ammiccando sorniona, mentre una imprecisata sagoma oscura si muoveva sulla scrivania.
- Ma come sarebbe... in questo posto... l'agenzia... è vero che sei il Capo... ma.... - balbettai gettando occhiate preoccupate sull'ombra semovente.
- Pino non hai capito nulla! - esclamò lei . - Ma ti sei guardato intorno? -
- Ecco, appunto... - gemetti, ma le parole mi si strozzarono in gola quando capii che la cosa misteriosa sulla scrivania era una grossa pantegana, che evidentemente Marjorie doveva usare come fermacarte, perchè con la punta di una matita la punzecchiava costringendola a riprendere il proprio posto su dei fogli ingialliti ogni volta che cercava di allontanarsi.
- Ma non ti sei reso conto della bellezza di questa location? - soggiunse la direttrice, con il sussiego di un tour operator che sfoglia davanti al naso del cliente un catalogo di resort a 9 stelle sulle barriere coralline o tra i palmeti delle Mauritius.
Stentai a profferire risposta, anche perché il mio sguardo era attratto dal sullodato ratto, davanti al quale Marjorie reggeva la matita a mo' di asticella del salto in alto.
- Pino, non rispondi? - sibilò il Capo, mentre il topo saltava obbediente i 5 cm del cimento.
- Non so che dirti, Marjorie, ma non mi sembra il massimo dell'accoglienza anche perché... -
- Pino! - mi interruppe bruscamente - Ma siamo in Second Life! -
Già, Second Life, pensai, mentre Marjorie alzava l'asticella di altri 5 cm.
- Pino, hai mai sentito parlare di grunge? - sbottò.
- Certo che sì, diamine, sono un esperto di grunge - mentii spudoratamente, mentre l'animale saltava anche il secondo ostacolo. Diavolo d'un Capo, pensai, ammaestra anche gli animali oltre ai suoi malcapitati collaboratori!
- Ed allora dovresti capirne il fascino e l'interesse culturale ed estetico! - sibilò Marjorie, con l'aria di troncare la discussione, mentre troncava anche la perfomance sportiva della pantegana prendendola per la coda e richiudendola con disinvoltura in un cassetto della scrivania.
I rimbrotti della direttrice e l'umana pietà verso lo sfortunato roditore mi intenerirono il cuore inducendomi ad una riflessione più attenta.







In effetti la chiave di lettura giusta dell'ambientazione a dir poco singolare di un punto di incontro, oltre che luogo di lavoro, come può essere un'agenzia di stampa in Second Life, è proprio la considerazione del fatto che ci si trova immersi nella virtualità del metaverso. Un luogo-non luogo, cioé, in cui le contaminazioni intellettuali prevalgono su quelle fisiche ed i canoni estetici possono ribaltarsi in funzione della creatività e dell'inventiva che ne sono alla base, senza contare i presupposti culturali che ne sono la logica premessa.
In Second Life nulla si deteriora da sé, né invecchia spontaneamente, né si rompe o si perde senza che qualcuno non intervenga invecchiando, rompendo, rovinando o sporcando con una maestria quasi sempre superiore a quella richiesta per costruire luoghi ed oggetti nuovi e “belli”, come possono essere considerati nella vita reale. Nulla è affidato al caso: se piove è davvero colpa del gov... anzi dell'owner “ladro”; se un muro è pieno di graffiti si tratta di una sovrascrittura non solo materiale ma anche letteraria di un'opera a suo modo incompleta; se un armadio è pieno di tarli è merito della pazienza del suo artefice che, foro dopo foro, ha imitato lo scorrere del tempo fissandolo nell'istantaneità di uno spazio immutato.
Meraviglia del metaverso, che ci fa entrare con la mente ed il cuore nell'essenza profonda delle cose, spogliandole delle ingannevoli apparenze del deja-vu e proiettandole in un mondo dove il pensiero viene prima dell'azione, e dove nel giudicare cose e persone tutti i sensi non bastano, perché ne occorre un sesto, fatto di mente, cultura, approfondimento, meditazione!
Mi sentii più leggero e libero, grazie a queste riflessioni, non più oppresso dai mefitici miasmi che avevano soffocato il mio respiro ed appannato il mio sguardo. Ora la degradata periferia suburbana si era trasformata agli occhi della mia mente in un'oasi fiorita, il decrepito motel era diventato un albergo di lusso, le scassate suppellettili si erano tramutate in un confortevole arredo, e la vecchia radio a valvole, così come l'obsoleto computer di Marjorie, sembravano ora mostrare come il vintage possa diventare categoria dello spirito. Anche lo scordato – in tutti i sensi – pianoforte da cui provenivano rare dissonanti note, segno di inquietanti presenze, pareva adesso diffondere musica celestiale.
- Ho capito, ho capito, Capo! - dissi avviandomi verso l'uscita.
- Ah, Pino! - chiamò Marjorie puntando la matita verso di me.
- Si...? .
- Quando esci chiudi la porta, non vorrei che qui dentro si rinnovasse l'aria...
- Ma... -
- Niente “ma”...presto ci sarà l'inaugurazione ufficiale! -
- Comunque sia, corriamo il rischio che non venga nessuno! -
- Verrà, verrà – sorrise Marjorie – anzi... Nessuno è già venuto!
Diavolo d'un Capo, aveva ragione!

(continua)








Pinovit Pinion
















2 commenti:

  1. Pino se per terra è troppo sporco e hai i pantaloni chiari puoi prendere un cuscino nel mio ufficio, mi pare sia la stanza 304. Comunque la riconosci perchè ha il tetto sfondato XD

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  2. Ci ho provato, Mo, ma credo di avere scelto un momento poco opportuno. La tua stanza era chiusa a chiave, e dall'interno provenivano gemiti, mugolii e sospiri. Da vicedirettore richiamo tutti i redattori ad un comportamento più consono al luogo di lavoro! Serietà ed impegno!!!!

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